Le leggi più significative sull'argomento sono: la n°405/75, che ha istituito i Consultori familiari e la n°194/78, che disciplina l'interruzione volontaria della gravidanza e la n°66/96 sulla violenza sessuale.
Questa legge, disciplinando il servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità, ha istituito in Italia i Consultori familiari, pubblici e privati. Tali strutture hanno come scopi fondamentali quelli di:
Con questa legge lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
Essa ha come punti fondamentali:
La donna può decidere di abortire entro i primi 90 giorni di gravidanza. Trascorso tale termine, l'interruzione della gravidanza è possibile solo se sussistono gravi motivi fisici o psichici, accertati dal medico con l'eventuale consulenza d'altri specialisti.
La donna d'età inferiore ai diciotto anni, per poter effettuare l'interruzione volontaria della gravidanza, deve avere l'autorizzazione di entrambi i genitori, che devono presenziare al colloquio col medico, controfirmare il certificato ed accompagnarla all'ospedale.
Se i genitori rifiutano il consenso o esistono gravi motivi che sconsigliano di richiederne il parere, il medico o il consultorio inviano dopo sette giorni la pratica al giudice tutelare che può, entro cinque giorni, autorizzare ugualmente l'interruzione della gravidanza.
Dopo anni di discussioni è stata emanata nel febbraio 1996 la nuova legge sulla violenza sessuale.
Tale reato si inserisce oggi significativamente tra quelli contro la persona e non più, come in passato, tra i reati contro la moralità pubblica ed il buon costume.
Al centro della nuova normativa si trovano quindi la vittima della violenza ed una nuova e più incisiva tutela dei suoi diritti.
In questa ottica è stata abolita innanzi tutto la distinzione tra il reato di violenza carnale e quello di atti di libidine (per cui era prevista una diminuzione di pena) che sono considerati oggi unitariamente come “atti sessuali”.
Ciò risponde allo scopo di evitare alla vittima quelle domande umilianti che in passato erano poste per stabilire se avesse subito una vera e propria violenza o il reato meno grave di atti di libidine.
Sono state quindi introdotte nuove norme processuali dirette a tutelare la dignità e la riservatezza della parte offesa (processi a porte chiuse, divieto di domande sulla vita privata e sulla sessualità e particolari misure di sostegno e di assistenza alle vittime minorenni).
Inoltre per garantire il riserbo della vittima e la sua libertà di autodeterminazione è stata mantenuta di regola la procedibilità a querela di parte, ma è prevista altresì la procedibilità d’ufficio per i casi più gravi, come ad esempio quello di violenza ad un minore di 14 anni.
La legge disciplina autonomamente i casi di “atti sessuali” compiuti tra un minore di 13 anni ed un altro minore sempre che la differenza di età non sia superiore a tre anni e che vi sia il consenso del soggetto passivo.
Al di fuori di questo specifico caso, sino al compimento dei 14 anni, l'eventuale consenso del minore a subire atti sessuali non è considerato valido e si parla di violenza sessuale.
L'età della violenza presunta è elevata a 16 anni quando il partner sia un genitore, anche adottivo, un nonno, uno zio, un convivente o altra persona, insegnante, allenatore, educatore o simili, cui il minore sia affidato e nei cui confronti si trovi in stato di subordinazione psichica.